E i Melvins sono una di quelle religioni con precetti assiologici che ti chiedono solo di chiudere il forno e godere. C’è un’ampia schiera di dizionari, di critichini, di vocabolari dei sinonimi e dei contrari, di cospiratori, di atei che vi verranno a dire che “si, importanti i Melvins… più importanti che bravi… perché si, cioè, no, si insomma, be’, buone idee ma cattive realizzazioni… tanti dischi mal riusciti”.
A questo punto la vostra fede incrollabile proporrà due soluzioni, una divertente (rompergli il culo) e una doverosa (spiegargli che è uno stupido). “Allora, mio vocabolarietto del Ruock, ai dischi mal riusciti abbiniamo un gradevole “sti cazzi”… prendi il tuo compagno di banco, quello grasso e con la fantasia necessaria per farsi un riporto con quattro capelli, mettilo alla batteria e fate dischi per venticinque anni, alla media di tre pubblicazioni all’anno, non curatevi del pubblico e fate quello che vi pare, inventate una decina di sottogeneri musicali, fate scannare la gente per attribuirvi un genere… bene, fatte tutte queste cose, vocabolarietto, torna qui e vediamo quanti dischi mal riusciti hai fatto. E poi mal riusciti che vor di’? Pure Dio sbaglia, al posto della manciata di fango, confuso, ha tirato una manciata di merda e sono venuti fuori Scaruffi e Borghezio. E che vogliamo fare, ci vogliamo mettere a bestemmiare o gli teniamo il broncio o con godiamo di fronte alla visione del culo della mia vicina di casa per una piccola imprecisione, per un nulla rispetto a tutto il ben di Dio che ha combinato?”
Se dopo tale, assennata, risposta il vocabolarietto di fiducia risponde “si, ma Frank Zappa…” avete tutto il diritto, alla sola parola Zappa - giusto per dirne uno - di sfilarvi la cintura e di prenderlo a cinghiate sui denti che Dio è con voi e vi benedirà.
Il disco in questione… il disco in questione è l’ultimo divertissement uscito per la Boner nel 1992, prima del passaggio su Major perché si sa, dopo l’esplosione dei Nirvana, ad Aberdeen, nonostante i Melvins vivessero da tempo a San Francisco, le rock star crescevano sugli alberi.
Dicevamo, il disco in questione… 14 minuti per quattro canzoni di divertimento musicale. L’allora formazione dei Melvins decise di far uscire un disco a testa come i Kiss e King Buzzo arruola Dave Grohl, sfasciatore di pelli per conto dei Nirvana e degli Scream, accreditandolo come “Dale Nixon”, ovvero con lo stesso pseudonimo che Greg Ginn si scelse per interpretare il ruolo di bassista su “My War”.
La prima, “Isabella”, è ritmica tribale-schiacciasassi con riff Melvins’ Style; la seconda, “Porg”, è un delirio freak in chiave industrial, industrial come potrebbe essere industrial la canzone di uno cresciuto in una città di taglialegna, come se un personaggio di Twin Peaks si cimentasse con l’industrial; “Annum” parte piano, prove generali per “Houdini”, si può addirittura cantarla mentre si cucina e poi c’è quel basso-cassa-charleston che te l’aspettavi, ma ci sta da Dio e allora tutto bene, si gode; la quarta, “Skeeter”, accreditata a Dave Grohl, che ci parla sopra, è un susseguirsi di riff su riff che ti riconcilia con te stesso… ci voleva proprio, ahh.
In Buzz We Trust… Yeah! E non è poco.
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